"Chiamatemi pure perdente: in carriera ho vinto tanto da giocatore, sono un perdente da allenatore. Lasciatemi perdere così però, perchè si gode nel vedere questi giocatori giovani giocare per la prima volta a San Siro e fare un calcio del genere": Parola di Cesc Fabregas, nel post-partita di Milan-Como, terminata 2-1 in favore dei rossoneri. Dichiarazioni che non sono passate inosservate e che anzi hanno suscitato sui social grande dibattito tra chi concorda con il tecnico catalano e chi invece rinfaccia i "soli" 29 punti conquistati in classifica ed un andamento fin troppo altalenante a livello di risultati, imputando proprio alla filosofia di calcio particolarmente propositiva e sfacciata la ragione delle recenti sconfitte. Chi ha ragione? Impossibile stabilirlo, visto che il calcio, si sa, è quanto di più soggettivo si possa prendere in esame. Eppure entrambe le opinioni contengono forse un fondo di verità e non necessariamente sono sbagliate a prescindere. Andiamo con ordine.
La prestazione del Como contro il Milan, soprattutto nella prima frazione, è stata tra le migliori della sua stagione. Pulito, a tratti in controllo del gioco, organizzato ed efficace in entrambe le fasi. Non a caso ha chiuso la prima frazione meritatamente avanti nel punteggio, grazie al piazzato rasoterra di Da Cunha, ciliegina sulla torta di un'azione orchestrata magistralmente dai biancoblu. Stessa situazione vissuta contro Roma, Napoli ed Atalanta, ennesima partita nella quale il Como si porta in vantaggio. Qui si arriva al primo capo d'imputazione nei confronti di Cesc Fabregas: la gestione del vantaggio, tallone d'Achille principale della stagione lariana, con il dato dei 22 punti persi da situazione di vantaggio che ormai sta diventando una costante. Molti attribuiscono al baricentro eccessivamente alto la causa delle diverse rimonte subite: il Como non si abbassa per gestire il risultato, neanche contro squadre più attrezzate che possono colpire con i propri singoli da un momento all'altro, come Pulisic e Reijnders ieri sera. Il Como, semplicemente, non ha la mentalità della classica squadra provinciale, bensì punta a costituire già da questa stagione di rodaggio in Serie A una mentalità ed una filosofia di calcio che dovrebbe appartenere a squadre di vertice: a viso aperto e senza remore, rimanendo fedeli al proprio credo tattico e calcistico, imponendo il proprio gioco contro tutti a prescindere dalla caratura dell'avversario. Questo approccio tattico aiuta i giocatori a crescere in consapevolezza nei propri mezzi, ma allo stesso tempo può comportare dei rischi per il collettivo, soprattutto contro compagini che possono contare su qualità e fiammate dei propri singoli per risolvere le partite. Aspetto quest'ultimo che più volte il Como ha pagato a caro prezzo.
Per chi si limita a valutare la prestazione di una squadra solo in base al risultato quella di Fabregas è una filosofia non abbastanza efficace. Invece chi valuta il calcio nella sua interezza, senza limitare la propria visione al "risultatismo" vede il bicchiere mezzo pieno: con il proprio credo il Como, squadra neo-promossa in Serie A dopo 20 anni di assenza, ha tenuto testa al Milan a San Siro per 75 minuti, sfiorando un'impresa storica. Per una squadra giovane ed ambiziosa questo non può passare in secondo piano neanche di fronte ad una sconfitta che si poteva comunque prevedere. Questo è il concetto che intende far passare Fabregas: in un percorso di crescita queste sconfitte possono arrivare all'inizio, ma se già da ora il Como è in grado di far prevalere il proprio gioco contro tutti, quando si sarà acquisita più esperienza si arriverà a maturare anche quella capacità di amministrare e vincere queste partite. Fabregas: in un percorso di crescita queste sconfitte possono arrivare all'inizio, ma se già da ora il Como è in grado di far prevalere il proprio gioco contro tutti, quando si sarà acquisita più esperienza si arriverà a maturare anche quella capacità di amministrare e vincere queste partite.
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