Alessio Iovine è stato ospite dell’ultima puntata de Il Barbiere, il talk calcistico del martedì sera su Espansione TV condotto da Nicole Gomena e Mariella Petagine. L’ex capitano e oggi collaboratore tecnico del club ha ripercorso il suo percorso in maglia azzurra, soffermandosi sui momenti più importanti della carriera, sul rapporto speciale con Cesc Fàbregas e sulla filosofia che ha contraddistinto il progetto lariano degli ultimi anni:

I ricordi - "È stato un percorso bello, iniziato tanto tempo fa. Da ragazzino ho trascorso cinque anni nel Como, non banali per un bambino di nove anni. È stata una crescita veloce, perché c’era già un’organizzazione e una mentalità di un certo livello. Poi le nostre strade si sono divise per il fallimento che tutti conosciamo, dopo l’ormai penultima Serie A. Ci siamo ritrovati nel mio momento migliore, sia a livello umano sia come calciatore: avevo 28 anni, probabilmente l’apice della mia carriera. Si sono incastrate diverse situazioni e mi sono tolto delle belle soddisfazioni. Ce le siamo tolte tutti insieme e spero che non siano finite con la promozione di due anni fa".

La prima immagine della sua carriera - "Ripenso alla chiamata per diventare professionista di quasi 13 anni fa, quando mi chiamò la Pergolettese in C2. Ho realizzato in quel momento di essere diventato giocatore a tutti gli effetti. Sembrava un treno perso ad un certo punto, perché a 18 anni giocavo ancora con i miei amici. Dopo 4-5 anni diventare professionista è stato il momento dove ho realizzato che si faceva sul serio e che la strada era quella giusta".

Il percorso con il Como - "Ho realizzato parecchi sogni con la maglia del Como. Giocare per la propria città è qualcosa che non capita a tutti. Ho avuto questa opportunità e me la sono goduta: sono stato per tanti anni giocatore del Como e sono ancora dentro la società. È qualcosa che nessuno mi può togliere e che mi riempie di felicità. In questi sei anni sono successe molte cose: dalla Serie C siamo diventati una squadra vera, in grado di giocarsela su ogni campo in Serie A. È qualcosa di importante e mi riempie di orgoglio, perché mi sento parte integrante di ciò che è successo e che sta succedendo. Tra le promozioni e la possibilità di giocare per il Como, questi sono i sogni che si sono realizzati".

L'identità del Como - "La società, oltre a prendere giocatori giovani e validi, sceglie uomini: persone serie, umili. Questo è un punto di partenza importante, perché non arrivano mai teste calde o ragazzi problematici e questo influisce molto. Ciò che è accaduto nel primo anno (2019, n.d.r.) di questa società ed anche mio abbia lasciato un segno. La squadra era cambiata quasi completamente e c’era stato il Covid, che ha segnato tutti, anche noi. Nonostante questo siamo riusciti a trovare l’alchimia per creare un gruppo sano e forte: questo ha influenzato anche tutti i giocatori che sono arrivati negli anni successivi. Tutto questo si trasmette con la semplicità: nel modo di comportarsi, di allenarsi, di presentarsi ai compagni. È stato tutto molto semplice e basilare per tutti. Anche chi era più timido è stato coinvolto e lo si vede dalle interviste di chi è andato via dal Como: parlano tutti bene, ricordano i bei momenti passati. Credo che questa sia la cosa che, oltre al calcio, ti entra dentro e ti riempie di felicità".

Come affrontare i momenti di difficoltà? - "Si gioca ogni domenica, quindi si scende in campo dopo pochi giorni. Per questo anche le vittorie si fa fatica a godersele fino in fondo, mentre le sconfitte ti spingono a lavorare ancora più intensamente per non perdere la partita successiva. Sono pro e contro che un giocatore deve saper gestire. Parlo per me: mi sono goduto più i momenti di difficoltà che quelli di felicità, perché per raggiungere la felicità magari impieghi un’intera stagione e poi, concretamente, dura un giorno, una settimana, un mese... Sono contento di questo percorso e, se tornassi indietro, punterei ancora a vivere una situazione così".

Il rapporto con Fabregas - "È particolare, anche perché penso di essere l’unico ad averlo avuto come compagno di squadra, poi come allenatore, ed ora di lavorare con lui come collaboratore tecnico. In tre anni sono successe parecchie cose ed è anche un po’ buffo ripensarci. Quando il mister è arrivato ha avuto un impatto incredibile. Ci aspettavamo la grande star che vedevamo sempre in televisione, con cui magari giocavamo a FIFA ai tempi del Barcellona: il campione del mondo. Ce l’aspettavamo un po’ più sulle sue e invece ha imparato l’italiano quasi subito, tutt’altro che scontato, ed è entrato immediatamente nel gruppo senza nessun problema. Tanto che ha fatto anche il fantacalcio con noi - lo facciamo ogni anno - nonostante all’inizio conoscesse poco i giocatori del nostro campionato. È stato molto bravo anche quando è diventato allenatore, subentrando in un momento in cui non stavamo andando così male da dover cambiare per forza: è raro vedere un cambio tecnico quando sei sesto in classifica. Non era semplice, invece lui è stato subito impattante: questa, secondo me, è la sua più grande forza. Ti entra nella testa, ti fa sentire un giocatore importante e credere in te stesso. Per come la vedo io, un allenatore deve avere autorevolezza ed empatia, e lui le ha entrambe. Ricordo che il primo giorno si presentò dichiarando di voler vincere il campionato. Sentirci dire così a novembre, quando eravamo sesti o settimi, è stato qualcosa di forte. E' una persona normalissima, che ama tantissimo il calcio e cerca sempre di migliorarsi e aggiornarsi quotidianamente. Sul lato tecnico non serve aggiungere altro: vedete tutti cosa sta facendo"

Futuro da allenatore? - "In realtà non è nei miei piani. Questi ultimi mesi sono stati intensi dal punto di vista emotivo e sono passati velocissimi. Non credo di avere nelle corde il ruolo di primo allenatore, ma penso di poter dare qualcosa in campo. Mi sta piacendo fare il collaboratore tecnico. Sono partito completamente da zero, perché aver fatto il calciatore non significa automaticamente essere un collaboratore o un allenatore: lo vediamo tutti, pochi continuano davvero quella carriera. Riparto con tanta umiltà e voglia. Credo che stare in campo, sentire ancora gli ex compagni, lavorare e formarmi in questo modo sia la strada giusta per me. Dietro una scrivania, in ufficio, non mi ci vedo".

Sul presente in prima squadra e della primavera - "Lo staff è molto ampio e super valido, aiuta veramente tanto il mister. C'è un lavoro dietro incredibile, che fino all'anno scorso ovviamente non percepivo, perché andavo al campo, preparavo l'allenamento, mi allenavo e poi andavo a casa. Invece adesso vedo che c'è veramente un lavoro metodico alle spalle. Parlando di primavera, il settore giovanile non è facilissimo. Quando parti da zero, ottenere subito risultati immediati ci vogliono, come per una prima squadra dove compri i giocatori, magari riesci a trovare l'alchimia e a vincere i campionati. Nel settore giovanile devi formare il ragazzo, quindi è un progetto a medio o lungo termine".

Su Nico Paz - "È un talento evidente. Con noi, l’anno scorso, ha mostrato capacità di apprendimento immediata: era arrivato nella settimana della partita di Cagliari e, dopo due o tre allenamenti, ha giocato quasi un tempo, mettendo subito in mostra le sue qualità. Per restare ad alti livelli serve però anche un profilo solido fuori dal campo: mentalità, serietà, senso di responsabilità. Ritengo che Nico possieda tutte queste caratteristiche e possa ambire a costruire una carriera importante. Nonostante il talento, non si accontenta: non lascia mai l’allenamento in anticipo e spesso si ferma da solo per lavorare su punizioni, tiri e situazioni di gioco che possono rivelarsi utili in partita. Si tratta di un atteggiamento non scontato per un ragazzo della sua età. Quattordici mesi fa la sua vita è cambiata completamente. In molti casi, un ragazzo di vent’anni rischia di perdere concentrazione e motivazioni. Al contrario, sta dimostrando una fame ancora maggiore rispetto al passato. È un segnale significativo e molto positivo".

Il calciatore più forte con cui ha giocato - "Fabregas non fa testo, quindi dico Da Cunha".

Il calciatore con il quale avrebbe voluto giocare - "Del Piero, il mio idolo fin da bambino"

L'avversario più ostico - "L'Inter, come ha dimostrato anche pochi giorni fa".

La partita che rigiocherebbe - "Ne dico due: i due derby (contro il Lecco, n.d.r.) persi nell'anno della Serie C".

Il compagno di squadra con il quale hai legato di più - "Difficile dirne uno, quindi dico il gruppo che ha iniziato con me nel 2019 in Serie C fino ad arrivare in Serie A".

Dove vedi il Como nei prossimi anni? - "In Europa".

Sezione: Primo Piano / Data: Mer 10 dicembre 2025 alle 16:00
Autore: Luca Bianchi
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